Mantigno e il significato dell’esplorazione

Premetto che sfortunatamente la macchina fotografica mi ha abbandonato lungo il percorso (problemi di batteria e basta sembra). Ci sono quindi meno foto e meno belle, in quanto ho provato a sopperire senza successo col mio cellulare.

Questo giro nasce dal voler terminare la mappatura dell’anello 50 della Palazzuolo Outdoor su OpenStreetMap (mancava una parte del tracciato). Si prospettava quindi un giretto abbastanza rapido, 4.5km compresa un tratto asfaltato in piana in paese. Si parte in salita da Via Belgrado a Palazzuolo sul Senio, in mezzo ad alcune case abitate, per salire poi velocemente in mezzo a una pinetina e guadagnare un po’ di quota.

Dopo aver percorso un tratto di stradello si entra di nuovo su un sentiero fino ad aggirare un campo di pannelli solari. Arrivato poi a un capanno da caccia bisogna stare attenti a non sbagliare (ci sono le indicazioni ma ci si può confondere comunque) e scendere a sinistra, per un tratto meno pulito dalle sterpaglie. Si emerge poi al podere Poggio Cherubino e da qui lo stradello sterrato porta in costante discesa fino alla strada asfaltata.

Arrivato sulla strada asfalta però ho ancora voglia di camminare e non mi trovo troppo lontano da Mantigno, località di cui avevo già incrociato il nome su un cartello stradale anni prima ma che non avevo mai visitato. Si tratta di fare qualche chilometro in leggera salita su asfalto, quindi procedo a passo spedito. Mentre salgo il paesaggio è semplicemente incredibile, costellato da qualche casa ancora abitata qua e la.

Arrivato in cima alla strada asfaltata incontro finalmente l’abitato di Mantigno, quattro case in croce e una chiesa (penso sia ancora consacrata ma sfortunatamente è chiusa). In una delle case abita ancora qualcuno, in quanto ci sono gli animali nell’aia; un ragazzo che sta tagliando della legna mi saluta. Non si sente nessun altro rumore qui, e non siamo così dispersi nel nulla: Palazzuolo in fondo è a 5-10 minuti di auto.

Mantigno

Quando arrivo in questo genere di località, ancora abitate, mi sorgono sempre domande simili: una persona nata e cresciuta qui, magari agli inizi del ‘900, fin dove riusciva a spingersi nella vita come distanze? Qual era il posto più lontano che sarebbe mai riuscita a vedere? Probabilmente arrivare in un posto come Bologna o Firenze sarebbe già stato un viaggio da fare forse una volta nella vita. Ma sicuramente avrebbe conosciuto i boschi e i pascoli nei dintorni come le sue tasche.

Oggi cosa significa per noi esplorare? Quanto abbiamo allontanato da noi i confini per definire un posto esotico o comunque che valga la pena di essere conosciuto e approfondito? Magari raggiungiamo più spesso posti a centinaia o migliaia di chilometri da noi e poi non abbiamo mai notato che abbiamo un sentiero seminascosto a 500 metri da casa.

La prossima volta che dobbiamo organizzare un’escursione con amici, invece di riproporre la solita meta trita e ritrita potremmo impegnarci a far conoscere posti nuovi, angoli di Appennino meno conosciuti o frazioni semi abbandonate. Spesso si tratta di posti con storie antiche (a Mantigno la chiesa è documentata dal 1386, e prima ne esisteva un’altra vicino al torrente) ma che rischiano di sparire nel dimenticatoio se nessuno si impegna a rispolverarle. Penso non esista turismo sostenibile migliore di questo.

Alcune foto (non mie) dell’interno della chiesa di Mantigno -> https://cultura.ilfilo.net/la-chiesa-di-mantigno-a-palazzuolo-sul-senio/
Tracciato dell’escursione -> https://www.openstreetmap.org/user/gabriele_sani/traces/11459600

Il Tiglio e la Valle dei Castellani

Panorama montano estivo

Tracciato dell’escursione -> https://www.openstreetmap.org/user/gabriele_sani/traces/11422936
Album fotografico -> https://gabrielesani.piwigo.com/index?/category/301-2024_08_10_iltiglio

Lo spunto per questa escursione è stato, come spesso accade, la Carta Tecnica Regionale (da qui in poi CTR), dove ho notato una località non presente su OpenStreetMap chiamata “Il Tiglio”.

Carta Tecnica Regionale sovrapposta a OpenStreetMap
La piccola traccia che da Val dei Castellani sale fino al Tiglio non era ancora mappata su OpenStreetMap

La strada di fondovalle l’avevo già esplorata e, come si vede dalla foto, il percorso che invece sale al Tiglio sembra più stretto. Sicuramente non è di larghezza carrozzabile.

Parcheggio quindi sulla via che conduce da Biforco a Campigno, risalgo a piedi parte della strada asfaltata e mi infilo nella strada interpoderale che sale in mezzo al bosco.

Dopo pochi metri c’è già il primo bivio: si prospetta una valle piena di possibili escursioni

La strada inizialmente è cementata fino a Versarola, la prima casa che si incontra in fase di ristrutturazione e comunque già abitata, poi prosegue diventando sterrata.

Il primo podere abbandonato che incontro è quello che dava il nome al torrente: Val dei Castellani. Da notare come sulla CTR il nome del torrente oggi sia “Fosso di Rineto”, nome la cui origine non mi è nota, ma nelle vecchie carte questo corso d’acqua viene sempre chiamato, seppur con qualche variazione, “Fosso dei Castellani”.

Si tratta effettivamente dell’abitato più grande della zona, sebbene almeno un edificio sia sparito, stando a quanto riportato nei vecchi catasti. Ha anche a mio parere un nome evocativo.

Il rudere è ormai invaso dalla vegetazione ma è ancora ben visibile

Arrivato a questo punto torno leggermente indietro e proseguo su un sentiero che si dirama dallo stradello che continua in salita nel bosco, come indicato dalla CTR. Inizialmente il percorso è ben visibile e abbastanza largo, ma, dopo un paio di tornanti, si stringe parecchio. Continuo a prendere quota fino a quando il tracciato si perde in mezzo ai rovi: ne troverò a bizzeffe durante l’esplorazione odierna, in quanto la via che sto percorrendo è veramente poco battuta.

Mi faccio strada nella fitta vegetazione fino a quando il percorso ricompare; poco dopo mi imbatto in un edificio inaspettato.

Podere senza nome

In tutte le carte in mio possesso questo edificio non appare, ne ho trovato traccia solo nel catasto toscano dell’800.

Come si può vedere, il fatto che già nell’800 non ci fosse segnata una mulattiera a collegare questi poderi (che erano già senza nome) indica come fossero probabilmente già disabitati e adibiti a qualche sorta di deposito attrezzi o seccatoio.

Continuando in salita incontro altri blocchi di rovi (le more sono ancora acerbe altrimenti si potrebbe fare una bella scorpacciata!) ed infine arrivo nella zona denominata Il Tiglio. Mi affaccio su un bello spiazzo che sarebbe ottimo per ospitare un edificio, ma, gira che ti rigira, non trovo traccia di nessun abitato. Ne approfitto comunque per riposarmi un attimo e godere del refrigerio del bosco, poi proseguo ancora un po’ in salita e mi congiungo al sentiero CAI 527.

Collegata la strada di fondovalle al percorso segnato; il mio lavoro qui è finito

Ritorno da dove sono venuto, ma decido di approfittarne per esplorare uno dei tanto bivi che avevo incontrato salendo. Da qui continuo a scendere finché non trovo finalmente i ruderi di “Case di Sopra” che avevo già cercato in passate escursioni senza successo: è rimasto in piedi solo un edificio e non ho idea se ne fossero presenti altri.

Case di Sopra

Stando a quanto riportato dalla carta IGM degli anni ’30 era effettivamente presente una mulattiera che collegava questo abitato a “Il Tiglio”. Direi che è sicuramente il tracciato che ho appena percorso in quanto per buona parte era discretamente più largo del sentiero intrapreso per salire. Da qui riscendo velocemente e torno nuovamente alla macchina.

Sto effettuando qualche ricerca sul nome Val dei Castellani: nel catasto napoleonico è segnata come Castellare, che solitamente si traduce in qualcosa di simile a Castellaccio, il quale porterebbe quindi all’idea che qui si trovasse un’antica fortificazione. Infatti se il toponimo che è arrivato ai giorni nostri indica un castello in rovina, significa che era in piedi in tempi più remoti. Per ora non ho avuto fortuna, ma a breve cercherò altre informazioni nella biblioteca di Marradi.